Domani giovedì 18 marzo alle ore 17,30 ci sarà il secondo appuntamento della quinta edizione di Fotogrammi femminili dal mondo, organizzata dal Centro Servizi Culturali UNLA di Oristano. La manifestazione si svolgerà in streaming sul canale YouTube CSCUNLAOristano e sulla pagina Facebook Centro Servizi Culturali Oristano
Tre appuntamenti che guideranno gli spettatori in un viaggio nel cinema e Women’s Studies, e nella conoscenza di donne registe, interpreti, autrici, protagoniste del cinema.
Domani sarà la volta di Maria Grazia Caso, giornalista e direttrice artistica del Mediterraneo Video Festival – festival internazionale del cinema documentario sul paesaggio mediterraneo; con un racconto dal titolo Sguardi mediterranei cinema al femminile
“C’è un fotogramma umanistico che caratterizza l’essenza del cinema documentario mediterraneo di cui mi occupo da 24 anni attraverso il Mediterraneo Video Festival che ogni anno propone film, documentari, dibattiti, mostre e cultura dei paesi del Mar Mediterraneo. Dalla penisola iberica ai Balcani, dai paesi arabi all’Italia il festival è un soffio culturale che spira condivisione di culture come testimonia il logo che è costituito da una colomba che porta in giro un fotogramma di pellicola. Trovo molto interessante selezionare film che raccontano storie diverse nelle forme e nel linguaggio cinematografico, attraverso uno sguardo reale sul mondo che incrocia la creatività del paesaggio mediterraneo.
Tra le autrici di cui ho scelto di parlare figurano Elisabetta Pandimiglio, romana, documentarista, scrittrice, autrice di testi teatrali, sceneggiatrice per cinema e televisione. Il suo è uno sguardo profondo, un esplorazione attenta e accurata su grandi temi sociali dalla condizione femminile al disagio sociale. La cena di Tony, ad esempio, menzione speciale al Mediterraneo Video Festival 2017, è stato definito dalla critica una “storia di resistenza”. Un film che parla di vita più che di malattia, nonostante la metta in scena con pudore e rispetto. Di un rigore estetico e visivo, che trasmette un profondo messaggio di dignità e di forza interiore, che la regista rappresenta con uno sguardo raffinato e mai invadente, nella migliore tradizione del realismo italiano.
Tra le giovani rivelazioni spagnole una menzione va a Nagore Eceiza, autrice indipendente, figura molto interessante nel panorama internazionale. Lavora dal 2013 come regista, montatrice, direttore della fotografia sotto il nome di El Santo Films, si dedica al documentario sociale come strumento educativo. La sua cinematografia intensa e cruda come il documentario Fifty Rupees Only vincitore nel 2017 del Mediterraneo Video Festival, che ha fatto conoscere al pubblico con uno stile molto elaborato e sicuro il fenomeno drammatico ed anacronistico delle spose bambine in India.
Izza Genini è un autrice marocchina di Casablanca che ho avuto il piacere di conoscere nel 2002 nell’ambito di una rassegna da me organizzata sul tema del paesaggio in musica. Vive a Parigi dove nel 1973, con Louis Malle e Claude Nedjar, creano la OHRA per l’acquisto del cinema che svilupperà successivamente la promozione dei film marocchini. Alla fine degli anni ’80, decide di intraprendere la produzione di una raccolta di film documentari dedicati alla ricchezza musicale e culturale del patrimonio del Marocco.
Mariangela Barbanente, autrice, sceneggiatrice pugliese ha collaborato per la casa di produzione francese Les Films d’Ici come aiuto-regista e assistente di produzione a due film a cui sono molto legata per il linguaggio espressivo del cinéma direct o cinema verità espresso da Prove di Stato e A Scuola di Leonardo di Costanzo. La Barbanente l’ho conosciuta per aver selezionato il suo documentario Sole, anche qui abbiamo un cinema che entra nella sfera sociale che racconta le donne, la storia delle braccianti in Puglia. Una storia sul lavoro invisibile raccontato con grande abilità narrativa, con un un messaggio di impegno e riscatto sociale che la accomuna ad una grande autrice del cinema italiano che è Cecilia Mangini che qui voglio ricordare. In viaggio con Cecilia un film realizzato in coregia con Cecilia Mangini è un on the road alla scoperta di come fosse cambiata la Puglia, terra che le accomunava e tema centrale dei documentari realizzati da Cecilia Mangini negli anni ’60. “Girare un documentario è credere nella rivelazione del cinema, la più semplice e radicale: il presente si trasforma in presenza, le azioni in storie, gli uomini in eroi”.
Claire Simon, documentarista di origine inglese, ma francese di adozione, che ho avuto il piacere di ospitare al Mediterraneo Video Festival introdotta dal regista Leonardo Di Costanzo. Autorevole rappresentante di un’ espressione cinematografica che i francesi definiscono cinéma direct, diffidente nei confronti della preparazione sceneggiata dell’opera. La trama del film documentario deve tracciarsi, a suo parere, secondo gli incontri e le situazioni all’interno dell’orizzonte del luogo che costituisce uno scheletro alternativo a quello dell’invenzione scritta, il linguaggio che Claire Simon porta avanti nella strategia documentaria e il suo rapporto con il «reale».
Mimi uno dei suoi primi film parla di Mimi Chiola. Mimi non è una star, è una personalità romantica, forte e commovente, a cui piace raccontare storie. E’ un film che ho scelto per parlare del cinema diretto in una delle prime edizioni nel 2003 a Velia (SA). L’incontro è stato molto interessante con la presenza di Leonardo di Costanzo che con il film Prove di Stato incentrato sulla figura della sindaca di Ercolano Luisa Bossa ha mostrato al pubblico la massima espressione del cinéma direct. Per quanto nulla sia sceneggiato, la composizione di Claire Simon identifica e dipana diverse vene di serialità narrativa nel corpo di un reale in divenire che frequenta e filma nel corso di alcuni anni.
E nel segno di Claire Simon vorrei menzionare il film Dima Punk di Dominique Caubet, il film che ha vinto il Premio 2020 del Mediterraneo Video Festival. Attraverso questo film documentario, la regista Dominique Caubet, dal 2010, segue, per anni, con ironia pungente il corso di un giovane punk, alla ricerca dell’identità. Dopo aver messo in discussione il linguaggio e la sua influenza sull’evoluzione della gioventù moderna, come ricercatrice e autrice, sceglie di raccontare la storia di Stof.
Dominique Caubet firma un’opera intima che racconta la quotidianità e la solitudine di un giovane che rifiuta di smettere di sognare e che cerca la luce anche nei buchi neri.